ID Progetto: PROST – OPM/2018/04179
Dove: Uganda, Karamoja, Tapac
Promotore: L’Osteria Volante a.p.s.
Responsabile: Alberto Lanzavecchia, Marzia Cescon
Finanziatori: 8xMille della Chiesa Valdese
Partners: Centro di Ateneo per i Diritti Umani, Fondazione Achille Grandi, GISHub aps, GeoAtamai srl SB, Karamoja Tourism and Conservation Initiative, OderTour.
Status: Concluso
Descrizione del progetto
Il Contesto
La regione della Karamoja, nel Nord Est dell’Uganda, ha una superficie di circa 27,600 Km2 e una popolazione di circa 1,2 milione di abitanti. Il capoluogo della regione è Moroto, nel Distretto omonimo, che è anche la città più popolata (circa 15 mila); dispone di banche/ATM, un ospedale, un air strip e collegamenti giornalieri via bus con Kampala (10-12 ore di viaggio), Lira e Soroti.
L’ambiente è in gran parte savana semi desertica (745 mm di pioggia/anno), con poche zone in cui il terreno è più fertile e favorevole all’agricoltura. Ci sono zone montuose, di origine vulcanica, la più alta è Mount Moroto (3080 m. s.l.m.), alle cui pendici sorgono miniere di marmo e alcuni filoni d’oro. I cambiamenti climatici globali hanno reso una vita dignitosa in zona ancora più difficile: precipitazioni discontinue o eccezionalmente abbondanti/scarse rendono insicuro l’accesso a cibo e acqua, con prospettive di peggioramento (EU/FAO, 2010).
Gli abitanti della zona (i “Karimojong”) erano da millenni semi nomadi e dediti prevalentemente all’allevamento del bestiame, soprattutto bovino, che costituiva la loro principale ricchezza e fonte di sopravvivenza. Questo modo tradizionale di vita, preservato anche durante il regime coloniale degli inglesi, sta scomparendo; per effetto, quasi paradossale, dello sviluppo economico. L’introduzione della proprietà privata o comunque la concessione di vaste porzioni di terra ad investitori esteri e/o domestici, funzionale all’attrazione di capitale per gli investimenti in loco, ha comportato per queste popolazioni l’impossibilità di migrare da nord a sud durante la stagione secca. I Karimojong hanno così dovuto, loro malgrado, convertirsi ad un regime stanziale, basato sull’agricoltura. Come risultato, hanno perso gran parte del loro capitale (mandrie, know how e sistema sociale connesso) accumulato nei secoli, e necessitano ora di nuovi strumenti (macchinari, strumenti e sementi), formazione specifica sull’agricoltura, accedere a cibo (importato) e acqua (pozzi artificiali, bacini/serbatoi di accumulo, canali di irrigazione).
Non sorprende che la Karamoja sia destinazione di una intensa attività di cooperazione internazionale allo sviluppo: USD 170 milioni/anno (International Rescue Committee, 2015); nel 2016, i 9 principali donatori (1 italiano) hanno avviato 41 progetti per complessivi USD 60 milioni. Tuttavia, tra questi 41 progetti, solo 7 sono dedicati all’agricoltura e nessun all’avvio di iniziative economiche per l’auto sufficienza! (Karamoja Donors Mapping Report, 2018). È chiaro che il miglioramento delle infrastrutture sanitarie e scolastiche, che pure sta rapidamente avvenendo, nulla serve ad assicurare alla popolazione un migliore standard di vita e quindi contrastare la tendenza emigratoria – anzi, paradossalmente una migliore sanità ed istruzione favoriscono le migrazioni: minore mortalità infantile e vaccinazioni aumentano la popolazione e il suo carico antropico su una terra che non può assicurare loro cibo, acqua e lavoro; e la conoscenza del mondo e della lingua inglese alimentano speranze di trovare altrove il luogo ove vivere meglio. La scarsa produttività della terra, il rischio agricolo-climatico e la generale assenza di opportunità imprenditoriali, spingono ampie parti di popolazione (donne, anziani e bambini inclusi) verso lavori usuranti, mal pagati, non tutelati e rischiosi: nelle miniere e cantieristica di infrastrutture e grandi opere. E così il degrado ambientale, umano ed etico si fondono in una nefasta spirale di autodistruzione.
Sul triplice degrado in corso (conseguenza di un modello di sviluppo economico della Karamoja “estrattivista”), bastino due dati: i) nell’anno 2014/15 nella diocesi di Moroto furono registrati 81 casi di abuso di alcool; ben 655 alla fine del 2016, con un trend simile a quanto rilevato in tutta la Karamoja. A riprova: nel 2012 le patologie del fegato erano la 13-esima causa di morte nel distretto; alla fine del 2014, è diventata la terza, nel 2015 la seconda! (Cau et al., 2018). ii) l’estrazione di risorse naturali (miniere e foreste) ha esacerbato un conflitto tra comunità locali e governo. Eppure il Governo riconosce una potenzialità nella regione non ancora valorizzata: “wildlife, forestry, landscape, paleontological and cultural tourism assets are second to no other in Uganda (…) These assets offer an untapped and potentially lucrative comparative advantage for local economic development” (UIA, Karamoja Investment profile, 2016, p. 4).
Per questo, riteniamo prioritario un intervento integrato per lo sviluppo economico, sostenibile, diffuso alla comunità, coinvolgendo donne e anziani – portatori di cultura e valor, facendo leva sulle risorse esistenti: il progetto PROST.
Il Progetto
La zona di Mount Moroto ha potenzialità turistiche, facendo leva su beni forestali, archeologici, culturali e paesaggistici, di tali valori e unicità che uno studio preliminare dell’Università di Padova ne intravvede persino una sua candidatura sotto l’egida dell’UNESCO quale Man And Biosphere Reserve.
L’obiettivo di questo progetto è allora: l’avvio di una attività imprenditoriale integrata per lo sviluppo sostenibile del turismo a Mount Moroto (rispettoso di ambiente, persone e comunità) come mezzo per lo sviluppo umano integrale. Ciò si declina in quattro dimensioni (sotto obiettivi specifici):
- economica: l’avvio di una attività turistica importa nuove risorse monetarie nella zona dell’intervento (crescita del PIL), dall’estero o da fuori regione, e la distribuisce nelle comunità; inoltre, non essendo direttamente legata all’agricoltura, riduce gli impatti negativi dei cambiamenti climatici e ne aumenta la resilienza delle comunità.
- umana: nella sub county di Tapac vivono 27 mila abitanti (UBOS, 2014), sparsi tra numerosi villaggi e nel paese principale, in prevalenza di una minoranza etnica – i Tepeth. I loro anziani sono i custodi di tradizioni, sapere e valori secolari. Le donne percorrono lunghi sentieri di montagna per accedere all’acqua e non hanno alternative economiche, perché lontane dai mercati di scambio o di produzione. La loro emancipazione, attraverso il riconoscimento e lo scambio di valori (non solo economici) in loco con i turisti, è concretamente possibile.
- ambientale: diffondere la conoscenza del territorio e la sua biodiversità non solo rende partecipi della bellezza della Natura, ma da qui l’amore per la propria terra, e la sua custodia attraverso il lavoro di guida naturalistica.
- sociale: il modello di sviluppo economico “tradizionale” (ovunque nel mondo) genera conflitti tra stakeholder. È qui invece possibile avviare un’economia circolare (che fa leva su ciò che c’è in loco), gestendo in armonia e mediando i potenziali conflitti tra stakeholder: donne, anziani; comunità; amministrazione locale (sub county); National Forest Authority; Governo centrale; cooperazione internazionale; tour operator locali ed esteri.
La nuova attività imprenditoriale sarà avviata a Tapac, quale punto di partenza per le escursioni sul Mount Moroto e di transito nel tour della Karamoja, come identificato in progettazione dai tre tour operator partner del progetto. Lì realizzeremo un campo tendato, arredato con comodi letti dotati di zanzariere, attrezzato con bagno e docce (recupero dell’acqua piovana e delle docce) e area pranzo in comune, all’interno di un kraal tradizionale.
La zona ha infatti sia potenzialità turistiche ma è anche luogo di possibili conflitti sull’uso delle risorse naturali: quindi il progetto implementerà una multi-level governance, coinvolgendo attivamente sia le comunità locali sia gli enti pubblici e governativi, avviando un processo “win-win” di gestione partecipata. In questo ci aiutano i nostri partner di progetto: la Diocesi di Moroto e KTI, nonché la NGO ISP Africa, portatrice di lunga esperienza di cooperazione e gestione partecipata in loco.
Nell’ambito del budget disponibile, facendo leva su strutture civili e contatti già esistenti, realizzeremo:
- beni ed infrastrutture che resteranno a disposizione della comunità/cooperativa beneficiaria;
- workshop formativi sulla gestione turistica del campo tendato; sulla formazione professionale delle guide e sulle nozioni pratiche di pronto soccorso.
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Progetto finanziato da: